di Alberto Bolognesi.
In Groenlandia i fiordi sono profondi anche 200 km.
Entrare in queste insenature a bordo di un veliero a tre alberi e navigare lasciandosi incantare da un paesaggio così diverso è un’esperienza da provare almeno una volta nella vita. Ancora meglio se, una volta scesi a terra, si indossano gli sci e si comincia a esplorare le vaste distese di neve e ghiaccio.
L’idea è venuta l’anno prima, come alla fine di ogni viaggio. Qualcuno dice “l’anno prossimo andremo…” e butta lì un’idea. Quella volta, fu appunto la Groenlandia.
E così ci andammo, un gruppo nutrito composto da sei italiani, degli svizzeri e alcuni austriaci, che a dirlo così pare una barzelletta. Ma da ridere c’è ben poco: la terra dei ghiacci richiede attenzione per essere visitata.
La scelta è ricaduta sulla costa ovest, che è la più calda e la partenza individuata a Nuuk. Da qui siamo salpati con il nostro veliero con cui abbiamo affrontato il mare aperto con onde capaci di raggiungere anche i 6/8 metri di altezza. Sono stati quelli i momenti più paurosi, ancora di più di quando si paventava l’idea di poter incontrare l’orso bianco dietro a una cima. Ci fermavamo sulle punte più sciabili dove riuscivamo a fare gite di scialpinismo restando fuori tutta la giornata e poi viaggiavamo la notte, per toccare gli angoli più disparati di quella distesa di neve e ghiaccio fatta Nazione.
Era maggio ed era il 2015, a portarci in navigazione sulla Rembrandt, così abbiamo scoperto si chiamasse il veliero, era una società del nord Europa che metteva a disposizione anche delle guide alpine per accompagnare i turisti nelle escursioni su terra ferma. A guidare il nostro gruppo ci pensavo io, Alberto Bolognesi. Il viaggio è durato 10 giorni, di cui due almeno di viaggio contando lo stop in Norvegia. La fortuna non è stata dalla nostra parte, abbiamo visto un’ora di sole in tutto durante il nostro stare al Nord.
Eppure. Eppure era magico muoversi in quegli ambienti così ostili, sembrava l’Africa, ma spostata in cima al mondo, dove al posto di sabbia e steppa, c’era ghiaccio e neve a perdita d’occhio. Dalla nostra avevamo che eravamo tutti ottimi sciatori, cugini transalpini inclusi. Per fare un viaggio del genere la passione per lo sci è importante, ma non basta. Perché bisogna imparare a tenerla a freno quando serve, sapersi fermare, capire quando arretrare rispetto alla propria idea iniziale di viaggio. Il pericolo iniziava da subito, da quando dalla barca si saltava sulle scialuppe vestiti da neve con gli scarponi ai piedi. Un passo falso, e l’acqua gelata ti avrebbe inghiottito.
Si viaggiava su ghiacciai che, per definizione, sono instabili. La possibilità di trovare un crepaccio ci obbligava a viaggiare con corde e picche, mentre quella di incontrare un orso ci faceva armare con fucili e petardi. Non esiste soccorso, devi essere pronto a farlo da solo, per te e per gli altri. Sei fuori dal mondo, non c’è strada, ma è proprio in questa totale assenza di comfort che si cela la bellezza.
Un ambiente selvaggio, incontaminato dove sei nudo, tu di fronte alla natura. Un’esperienza che ti tocca dentro delle corde che non pensavi di avere per poi tornare sulla barca e trovare la coccola di un pasto caldo, del salmone affumicato, di un letto riscaldato.
Se il contorno fatto di natura allo stato primordiale è incredibile, anche la parte “umana” non è da meno. I centri abitati non sono altro che villaggi che vivono di pesca e caccia. Le case colorate dei pescatori, non sono un vezzo estetico, ma un modo per riconoscere a che famiglia appartenesse la costruzione anche dal mare. A metà della nostra settimana avevamo bisogno di un giorno di recupero. Così abbiamo deciso di visitare un villaggio, dopo che il guru ha deciso di accettare il nostro ingresso. Un piccolo centro abitato di 200 anime e una ragazza del luogo che ci ha fatto da guida.
Sovvenzionati dalla Danimarca per non lasciare questi pochi centri abitati, i villani conducono una vita semplice ed è difficile riuscire a interagire con loro tanto da dare l’impressione che il nostro essere lì fosse quasi un disturbo. Deve essere che il freddo rende selvaggia non solo la natura, ma anche l’anima umana.
Un viaggio impegnativo per corpo e mente, che richiede energia, dedizione. Chiede di dimenticare le comodità, ma di godere di viste uniche al mondo. Anche la paura ha il suo fascino in mezzo agli iceberg e si diluisce con gli spazi giganteschi che si aprono a perdita d’occhio e tu lì, che non sei altro che una briciola.
E se ci chiedete se ci torneremmo, la nostra risposta è cento volte sì.
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